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Augusto Piccioni, per l’insolita mostra allestita al Caffè Lord Byron, ha realizzato una serie di opere su carta e oggettuali che interagiscono con l’ambiente dato. Gli elementi delle composizioni, con all’interno frammenti di paesaggi immaginari, si integrano tra loro e, “usando” lo sguardo dello spettatore, si completano e si espandono nello spazio della parete che li accoglie. Va rilevato che il lavoro di Piccioni si è notevolmente evoluto, soprattutto linguisticamente, senza perdere la propria identità. L’artista ha saputo coniugare gli aspetti più interiori e tradizionali dei suoi precedenti lavori astratto-informali con nuove strutture tridimensionali - “scontornate” e “seriabili” - che si trasformano in opere aperte capaci di far uscire l’immagine verso l’esterno, in base alle “indicazioni” del disegno perimetrale delle “tavole”. Questa figurazione “verticale”, poi, è stata proiettata materialmente nello spazio agibile, creando opere-installazioni con una più chiara valenza architettonica. L’attuale produzione di Piccioni è ancora tutta autobiografica e rivela l’intenzione di voler passare dall’inconscio al conscio, dal luogo chiuso a quello aperto. Manifesta, cioè, una positiva combinazione tra l’Io e il mondo, tra spontaneità e cultura urbana-artificiale. Luciano Marucci ____________________ «Juliet» » (Trieste), n. 63, giugno 1993, p. 67 - Recensione della mostra al Caffè Lord Byron di Milano |
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AUGUSTO PICCIONI |
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